mercoledì 17 agosto 2011

keska "Diamante": Capitolo 6

Buon giorno! :) Leggete mi raccomando :)





















Verità

«Si Mr Cullen, credo che sia davvero importante avere una certa conoscenza economica prima di investire in un’impresa» risposi piano, le parole misurate e il ritmo cadenzato.
«Voi lo credete davvero? Non pensate forse che sarebbe meglio formare le vostre conoscenze sul campo?» mi stuzzicò Mr Cullen, un’espressione mista di divertimento e disappunto.
Sospirai. «Quello che credete opportuno», concessi, facendo crescere ancora la sua contrarietà. Era andata avanti così per tutta la mattina. Parlavamo, io conducevo il discorso proprio come mia madre voleva che fosse, Mr Cullen mi stuzzicava, e io soffocavo la mia disinvoltura e spontaneità per non contraddirlo, in nessun caso.
Stavo cercando in ogni modo di recuperare la fiducia persa nei confronti di Lady Swan. «Devi fare tutto quello che ti dice Mr Cullen, non contraddirlo mai. Tutto» mi aveva intimato, «non voglio neppure un errore da parte tua, Isabella» aveva detto, fissandomi con occhi fiammeggianti.
«Si, Mr Cullen, la penso proprio come voi» avevo sussurrato per l’ennesima volta, tentando di nascondere la mia aria stanca.
Mr Cullen, che sembrava palesemente spazientito, si tirò a sedere, facendomi sgranare gli occhi.
Mia madre annaspò, congelando i suoi occhi severi su di me. La mortificazione pulsò veloce fra le mie membra. Deglutii, fissando il mio promesso sposo con timore. «Io… Mr Cullen, va tutto bene?» chiesi costernata, tentando di impedire che gli occhi mi si riempissero di lacrime.
Mrs Cullen stemperò l’atmosfera, mettendo giù la tazza del tè da cui non aveva preso nemmeno un sorso. «Edward, tesoro, non essere così suscettibile sulle questioni economiche» risuonò dolcemente, guardandolo piano, «perché piuttosto non fai una passeggiata con la nostra contessina? Oh, Lady Swan, mio figlio è davvero incantato da miss Swan…».
Mr Cullen si voltò a fissare rigidamente il mio volto afflitto. Sospirò e mi tese la mano. «Venite, Miss Swan».
Pure mentre stava affabilmente conducendo una conversazione con Mrs Cullen, Maman si voltò nella mia direzione, squadrandomi attentamente.
Mi affrettai ad afferrare la mano di Mr Cullen, seguendolo ovunque volesse condurmi.
Nella mia mente dominava una certa confusione. Da una parte ero stranamente lieta di andare in contro alla scelta di mia madre, e mi chiedevo quanto avesse inteso delle mie reazioni accanto al gentiluomo e quanto fossero pesate. Dall’altra non sapevo dare un nome al mio batticuore, faticando a dar ragione alle parole di Mrs McCarty dopo quanto detto da Maman.
Mi aveva mentito su tutto? Non era stata una buona amica?
Era vero, per il pensiero della sua contentezza accanto a Mr McCarty avevo vilmente commesso l’errore più grande della mia vita. Ma se al posto di Mr Cullen mia madre avesse davvero scelto Mr Newton ne sarei stata così pentita?
Camminammo in silenzio per il ponte della nave. Sentivo la sua presenza forte accanto a me, e il cuore mi batteva, oh, se mi batteva. Ma in quel momento l’aura che irradiava non pareva affatto positiva. Mr Cullen appariva stanco, provato, perfino stizzito.
«Il viaggio durerà ancora un po’, non è così, Mr Cullen?» azzardai a chiedere, le buone maniere che m’imponevano di aprir bocca.
Sospirò, scrollando le spalle come per trattenersi. «Si, Miss Swan» mormorò distrattamente, osservando l’orizzonte coperto da una nebbia opaca, «la nave attracca spesso ai vari porti, dopotutto è una crociera, e lo scopo di una crociera è sostare lungo le rive che si costeggiano, nonostante voi non abbiate mai messo piede fuori dalla nave» disse con voce incolore, continuando a guardare nel lontano vuoto.
Strinsi più forte il braccio contro il suo, a disagio per le sue parole.
Si voltò, e sul suo viso spuntò un lieve sorriso. «Vi piacerebbe? Oggi attraccheremo ancora nel Portogallo».
Morsi un labbro, fissandolo negli occhi cupi. «Maman non gradisce che lo faccia».
Il suo sorriso si ampliò. «Se è solo per questo, lasciate che le parli io».
Sospirai ansiosamente, fissandolo crucciata. «No, davvero Mr Cullen, non è necessario» mormorai agitata, preoccupata di andare ancora, in qualsiasi modo, contro mia madre.
Mi parve, se possibile, che i suoi occhi si scurissero maggiormente. «Non lo volete voi o non lo vuole vostra madre?Perché di certo non siamo parlando di ciò che è necessario e ciò che non lo è».
Ansimai, sgranando gli occhi. Una fitta nel petto era dolorosamente familiare, quella che sorgeva dalla delusione che sapevo avrei causato a MamanMa l’altra… L’altra era così angosciante e sconosciuta per essere nata dall’amarezza negli occhi di Mr Cullen. «Mi rincresce…» farfugliai sconvolta.
I suoi occhi scuri fuggirono dai miei, e con un respiro rilassò le membra. «Torniamo dalle nostre famiglie» affermòpacato.
Quando mi riconsegnò a mia madre aveva modi fluidi e cordiali, per nulla simili a quelli rivolti nei miei confronti. Eppure… nutrivo un certo peso allo stomaco, che mi faceva pensare che quella attuale non fosse altro che finzione e controllo.
Mia madre fu soddisfatta dagli incontri che avevo col mio futuro marito, anche se avrebbe voluto in ogni modo che la felicità che gli causavo fosse maggiore e più convincente. Pareva esausta dagli ultimi giorni, dai dibattiti pacati e cordiali che nascondevano alte doti diplomatiche di una donna che avrebbe potuto condurre i trattati di pace in Inghilterra.
Nonostante Maman fosse incline a soddisfare in ogni modo Mr Cullen aveva rigide regole su cui difficilmente soprassedeva. Farmi uscire ad orari stabiliti, accompagnata da loro. Non farmi scendere dalla nave. Controllarmi, spesso e volentieri, a vista.
«Avete la pelle così morbida, Miss» sussurrò Justine, accarezzandomi con le mani mentre mi faceva il bagno.
Albertine entrò nella mie stanze, con in mano un sacchettino bianco. «Mr Cullen vi ha fatto recapitare un sacchetto di sali da bagno Portoghesi». Ultimamente tendeva ad essere più silenziosa con me.
«Un gesto davvero premuroso» commentò Justine, massaggiandomi.
Annuii, contenta di quel presente. «Si» sussurrai debolmente.
Rimasi a pensare per lungo tempo, mentre Albertine mi pettinava i capelli umidi e Justine preparava a biancheria, a quanto mi avesse detto Mrs McCarty delle mie dame. Che erano troppo presenti, che avrei potuto sostituirmi a loro in mille piccole cose… Da un lato mi sarebbe piaciuto essere una donna forte e indipendente come lei, ma dall’altro non avrei mai potuto mancare della protezione che sentivo provenire dalle mia dame.
Sospirai. Ormai, il pensiero di Mrs McCarty non doveva più interessarmi, che lo volessi o meno. Maman aveva contrattato con la famiglia Cullen che avessi tutto e non meno di quanto non avevo già, e Mr E C era stato disposto ad accettare ogni condizione di buon grado. Le mie dame sarebbero venute con me. Magari, una di loro avrebbe potuto crescere i nostri figli…
«Miss» sussurrò Justine, chinandosi a guardarmi con un’aria carica di pena e afflizione, «mi dispiace, vorrei tanto essere la vostra messaggera segreta. E se fosse un altro biglietto di Mr Cullen, ormai vostro fidanzato, ve l’avrei recapitato di certo…».
M’irrigidii, colta impreparata dalle sue parole. Il cuore cominciò naturalmente a battermi più forte nel petto. Un biglietto di Mr Cullen? Le sue parole gentili?
Sollevò i suoi occhi timorosi su di me. «Ho avuto rigide istruzioni, perdonatemi. Non posso farvi avere il biglietto di Mrs McCarty…».
«Mrs McCarty mi ha mandato un biglietto?» chiesi sorpresa.
Sospirò, avvicinandosi maggiormente alla mia poltrona. «Si. Più di uno, in realtà. Dice che le mancate, e che vorrebbe vedervi» mi spiegò piano, salvo poi affrettarsi ad alzarsi all’entrata nella stanza di Juliette.
Meditai con aria afflitta sulla lontananza da Mrs McCarty. Maman diceva che era troppo libertina, che aveva idee rivoluzionarie, che era troppo francese. Lontanissima dalle rette d’educazione che mi erano state impartite e dovevo seguire.
Eppure non potevo fare a meno di pensare a quanto fosse elegante, colta, intelligente e acuta, piena di vita, e soprattutto felice, come mai nessun’altra persona da me conosciuta.
A chi dare fiducia? A chi dare ragione? A Mrs McCarty o a Maman?
Non potevo immaginare che mia madre si fosse sbagliata di tanto.
La pelle profumata, i capelli soffici, le guance rosee per la differenza di temperatura fra il tepore dell’acqua e l’ambiente circostante, camminai, avanzando mollemente sui piedi, lungo il corridoio dei nostri appartamenti. Non erano previsti ulteriori incontri con Mr Cullen per la giornata, così, per quanto l’idea mi rendesse malinconica, avevo deciso di attingere alla riserva di libri della biblioteca, selezionati da mia madre per me.
«Non è felice ti dico. Isabella non è felice. Avrei voluto che avesse una seppur minima voce in capitolo sulla scelta di suo marito!».
«Sono più che certa che Mr Cullen sia quello perfetto».
M’irrigidii, sentendo provenire dalla stanza le voci dei miei genitori.
Un sospiro sconfortato e rumoroso. «Ma a lei? Piace a lei?».
«Le andrà a genio» ribatté piccata mia madre.
Attenta a che il suono del mio cuore palpitante non fosse troppo udibile, mi avvicinai lentamente allo stipite dell’uscio. I miei occhi si posarono sullo spiraglio di luce che proveniva dalla stanza. Maman era rigidamente seduta sulla poltrona accanto al fuoco, e Sir Swan misurava la stanza a passi veloci.
«Non è felice ti dico…» borbottò, continuando a muoversi.
«E io Charlie? Io sono felice, secondo te?!» scattò in piedi Lady Swan, con lo strillo più acuto che avessi mai sentito provenire dalle sue labbra. «Sei tu la causa di tutto il suo male, ricordalo! Tutto questo è a causa tua!».
Mio padre impallidì, tacendo. Sentivo un dolore esplodere in ogni mia parte mentre mia madre gli si avvicinava, furibonda.
«Per quattordici, quattordici anni l’ho cresciuta, allevata, fatta diventare ciò che è. L’ho resa perfetta, perfetta. Ho sacrificato ogni attimo per creare quello che è. Perché qualcuno se la prendesse anche così» sputò con amarezza.
Ansimai, sentendo le pupille dilatarsi. Mio padre si lasciò cadere sulla poltrona, stanco, desolato, portando le mani a coprirsi il volto. Il peso della colpa sulle spalle curve.
«Quando me l’hanno portata, quel giorno… quando mi hanno portato la mia bambina insanguinata» tremò, e io con lei, «a cavallo, Charlie! Come dannazione ti è venuto in mente di portare una creatura di tre anni a cavallo?!» sibilò rancorosa, faticando a tenere bassa la voce. Strinse i pugni sulla gonna, ansimando. «E il fatto che sia felice dev’essere davvero l’ultima cosa di cui ti devi preoccupare. Ringraziami, se l’ho resa quello che è. Se finalmente ho trovato un uomo del genere che sia disposto a tenersi un ciocco sterile per tutta la vita».
Tremai. Tremai, sentendomi scuotere violentemente, sentendo lo stomaco rivoltarsi e diffondere il suo acido nel mio corpo.
Scappai, correndo. Senza remore questa volta, solo con l’angoscia incalzante della verità a seguirmi. Aprii velocemente la porta degli appartamenti, continuando a correre. Ma per ogni passo che facevo il dolore e il terrore mi seguivano, più veloci, più pesanti, più presenti.
Ero preda di uno spasmo convulso. Due verità atroci, una più sconvolgente dell’altra, mi seguivano. La lapidarietà del fatto che il mio corpo fosse incapace di generare altra vitaE, ancor peggio, il fatto che per quattordici anni della mia esistenza, i miei genitori, le uniche persone di cui mi fidavo e che pedissequamente seguivo, mi avevano mentito a tal punto da negarmi una verità fondante del mio essere.
Il mio respiro era così veloce e irregolare che accentuava lo sciame d’api che sentivo in testa. Dolorosamente pungente.
Gli occhi di Miss Mallory e Stanley si sgranarono leggermente quando gli passai accanto.
Mi arrestai, fremendo, quando mi resi conto di aver imboccato un vicolo cieco. Scivolai con le spalle al muro, apparentemente senza forze.
«Vi siete persa, Miss? Tutta soletta?».
Ansimai, sentendo salire sulle labbra un terribile singhiozzo asciutto. Facendo leva sulla parete mi sollevai ancora, continuando a correre. Qualcosa di orribile stava impazzendo in me. Qualcosa che mi sussurrava che magari il mare là fuori me ne avrebbe liberata.
Maman… Maman… perché l’avete fatto? Cosa?
Stordita mi scontrai violentemente contro un corpo perfetto. «Miss Swan, cosa c’è? Cercate ancora di scappare dal vostro futuro marito?» scherzò Mr Cullen, bloccandomi per le braccia.
Sollevai lo sguardo per fissarlo con occhi spiritati. Lasciatemi andare, lasciatemi andare Mr Cullen… avrei voluto urlare. Ma non c’era nessun modo per cui una sola parola potesse uscire dalla mia bocca in quel momento. La testa turbinava alla stessa velocità con cui la vista mi si offuscava.
Le sue sopracciglia perfette si piegarono in una linea. «Miss Swan? Che succede?» chiese perplesso, continuando a fissare con insistenza il mio volto. «Vi devo riaccompagnare a casa?».
Ansimai, strattonandolo con più forza. «No» tentai di dire, ma quando aprii la bocca non uscì che un sibilo. Nonpotevo, non poteva essere. Stavo sicuramente immaginando tutto, perché il corpo non rispondeva neppure ai miei comandi.
«É successo qualcosa lì?» chiese con maggiore fervore.
Neppure la vicinanza serviva a darmi conforto, ma solo ad accentuare la schiacciante angoscia che sentivocomprimermi.
«Oh, accidenti a voi donne e i vostri corsetti» farfugliò, correndo con una mano dietro la mia schiena, «Guardatemi, Miss. Respirate, ora» ordinò, mentre sentivo i polmoni decomprimersi e la vista annebbiarsi definitivamente.

«Sta bene, sta riposando» spiegò Mrs McCarty, sedendosi goffamente su una poltrona. «Me l’avete portata in uno stato pietoso. Cos’è successo?».
Edward Cullen vagò con lo sguardo dorato nel salottino della donna prima di rispondere. Quel giorno si era finalmente nutrito del sangue animale che gli consentiva di mantenere il suo temperamento mite. «Ne ho una vaga idea» rispose pacato. Un’idea più che vaga, a dire la verità. Sapeva che prima o poi Isabella sarebbe venuta a conoscenza del segreto dei suoi genitori.
«Una vaga idea?» chiese turbata Mrs McCarty. La donna aveva una buona stima di lui, eppure non si sentiva completamente a suo agio. Glielo leggeva nei pensieri.
Annuì con lentezza, non propenso a specificare ancora i problemi della sua futura consorte. Di certo a lui non importava che Miss Swan fosse sterile, anzi. Incapace di generare figli che non uccidessero la madre durante la gravidanza, l’assenza del pericolo che si ingravidasse era di certo un vantaggio per lui. «Credo sianodiscrepanze con la famiglia».
La donna fremette, stringendo i pugni. Manifestava una chiara ostilità per la sua famiglia, che in larga parte sentiva di condividere. Sospirò, tremante, prima di cominciare il suo accalorato discorso. «Voi siete un uomo potente, Mr Cullen, e io sono più che lieta che siate il futuro marito della contessina. E proprio per questo dovete fare qualcosa per lei. Portatela sotto la vostra ala, estendete la vostra influenza e allontanatela per sempre da Lady Swan. Perché quella donna, un giorno o l’altro, le farà del male».
Mr Cullen sorrise debolmente. Reputava di avere una conoscenza umana superiore alla media, data la sua peculiarità di leggere nel pensiero. Lady Swan era rigida, ferrea, ma da qualche parte e in maniera strana, come d’altronde ogni essere umano, nutriva un qualche affetto per la figlia. «Cara Mrs McCarty» cominciò affabile «sono d’accordo con voi nell’ostilità che nutrite nei confronti della sua famiglia, che la educa con severità e metodi barbari, sopprimendone completamente l’“io” spontaneo. Ma vedrete che la contessina starà bene senza ricorrere a metodi eccessivi».
«Mr Cullen» ribatté rapidamente la gentildonna, «non bastano i vostri metodi, per quanto nobiliDove portarla con voi, strapparla a quelle mani, e impedire anche solo che la vedano».
Mr Cullen ritenne il suo spirito frutto del fatto che non conoscesse la vera questione che aveva reso Miss Swan così sconvolta. La creatura aveva bisogno solo di un po’ d’amore e dolcezza, per quello l’aveva condotta da Mrs McCarty, e di qualcuno che le facesse guardare dentro di sé. L’idea di farla crescere sotto la sua ala, si scatenarle un tiepido sorriso o un accenno di stupore lo rendeva euforico e estatico. «Non ho intenzione di sollevare uno scandalo sociale sottraendola alla sua famiglia prima del tempo. Al contempo, ho intenzione di educare la piccola al sapore della piacevole libertà» mormorò, pensando all’insensato e irrefrenabile risentimento che gli causava vederla completamente assoggettata alla madre e pronta ad assecondarne il volere, «imparerà da sola a mordere il freno, è questo che deve fare».
Mrs McCarty scosse il capo, condividendo solo in parte le sue parole e contrariata per il metodo scelto dall’uomo per migliorare le condizioni della sua protetta. «Spero solo che non la vedrete strozzarsi mentre lo sta mordendo».
Distolse lo sguardo, sicuro di sé. C’era stato solo un attimo, poco prima di strappare i lacci del corsetto di Miss Swan, in cui l’aveva vista annaspare senza aria e fissarlo con occhi morenti. Solo in quell’attimo aveva sentito una perturbazione che da tempo non lo sfiorava neppure. Solo in quel momento l’arrendevole consapevolezza della fragilità della specie umana era completamente svanita, e il suo tranquillo controllo sfatto.
Non si era accorto di aver trattenuto il fiato finché anche Miss Swan non aveva ripreso a respirare.

«Isabella! Isabella, tesoro, ti piace il vento?». «Si, papà». «Guarda come corre veloce piccola!». Le braccia la stringevano contro il suo petto, e la giumenta sotto di loro si affannava nella vasta tenuta. «Più veloce, piùveloce!». «Al galoppo!».
Mossi il capo da entrambe le parti, sentendomi sudata e stanca.
«Attenta, non ti sporgere!». «Un serpente, papà!». Un nitrito, e tanto buio.
Aprii lentamente gli occhi, disorientata. Sentivo le guance seccate di lacrime. Mi misi a sedere, una mano alla testa. L’angoscia che avevo sentito si era trasformata in una viscerale tristezza.
«Miss Swan». Alla voce di Mrs McCarty era seguita la sua linea curva. Distolsi lo sguardo, sentendomi strozzare. Non avevo mai pensato davvero a diventare madre. Piuttosto l’avevo dato per scontato. «Vi siete svegliata» continuò piano.
Mi sollevai, mettendo i piedi fuori dal letto. Mi accorsi di indossare una vestaglia bianca e pulita. «Dove mi trovo?» chiesi smarrita.
Mrs McCarty si avvicinò fino a sedersi accanto a me sul letto. I suoi occhi erano pieni di compassione. «Mr Cullen vi ha portata qui dopo che avete perso i sensi. Non avevate più respiro, così ha tagliato i lacci del corsetto. Ve l’ho sistemato…» continuò, fissandomi incessantemente.
Annuii piano, sospirando appena. Non avrei dovuto essere in compagnia di Mrs McCarty, e forse qualche ora prima non l’avrei permesso, seguendo le parole di mia madre. Ma ora ero come una navicella alla deriva in un mare infinito, e bisognavo di un appiglio.
La sua espressione s’intenerì, e tese le braccia per stringermi a sé. Mi abbracciò, baciandomi il capo e massaggiandomi piano la schiena, facendomi sentire protetta e amata. Lasciai che altre lacrime mi scaldassero il volto e scendessero giù senza una meta precisa.
Mi chiese informazioni attente sulla causa di tutto, e quando non risposi non insistette a chiederle. Mi aiutò a ricomporre i capelli e risistemare il vestito, confortandomi con piccoli gesti.
Quando mi portò fuori dalla stanza in cui mi aveva sistemata ad attendermi c’era Mr Cullen. Mi fissava con espressione tenera, offrendomi semplice conforto.
«Vado di là a prepararvi qualcosa per farvi riprendere colore, Miss. Torno fra poco» si congedò velocemente Mrs McCarty, lasciandoci soli.
Un demone mi morse le viscere. Mr Cullen sapeva? Oh, no, no che non sapeva. Se solo avesse saputo non mi avrebbe presa con sé. Un’inutile, sciocca, vuota ragazzina. Che se ne faceva di una moglie che non poteva dargli nessun erede?
Un gemito spontaneo nacque dalle mie labbra. Non sarei mai riuscita a dirglielo, perché, in quel momento, il mio essere egoista cercava solo di non perdere quel poco che gli rimaneva.
Avanzò nella mia direzione. Accarezzandomi una guancia e scatenando mille brividi, scendendo col viso a baciarmi la fronte. Mi sentivo prossima a scoppiare in lacrime al pensiero di poter perdere tutto quell’amore.
Bevvi il tè corretto di Mrs McCarty, un toccasana diceva, per scaldarmi il corpo. Mr Cullen mi fissava silenzioso, seduto su un divanetto. Quando finii la bevanda si alzò dal posto, offrendosi di riaccompagnarmi dove avessi voluto. A casa. Si, a casa, se casa fosse stata ancora Renevuelle, dove non conoscevo nessun altro mondo che prevedesse il dolore che stavo provando.
Prima di ricondurmi ai miei appartamenti insistette per passare per il ponte della nave, per lasciare che mi riprendessi completamente. Il vento soffiò fra di noi. Non avevo intenzione di scappare ancora. Sarei tornata ai miei appartamenti, e sarei stata in silenzio. Mi sentivo svuotata, persa. Avrei voluto una spiegazione, ma ero terrorizzata all’idea di chiederla.
Potevo davvero perdere tutto?
Sentivo come se una parte del mio stesso essere se ne stesse andando per sempre. Non potevo permetterlo. Sarei tornata. Avrei continuato a fare finta che tutto fosse come prima. Anche se il mondo mi si sgretolava ad ogni passo. Avrei continuato ad essere come ero, e la mia vita sarebbe ricominciata con l’uomo che mi stava dirimpetto, sostenendomi per i gomiti. Sperando che si accontentasse del guscio vuoto che ero.
Singhiozzai, lasciandomi cadere sul petto ampio di Mr Cullen. Le buone maniere stavano naufragando insieme alla fiducia in mia madre.
Mi accarezzò i capelli scompigliati, tenuti insieme solo da alcuni nastrini di raso. «Va tutto bene, Miss Swan. Ve loassicuro, va tutto bene» mormorò in un dolce tono consolatorio, quasi persuasivo.
Ma se invece avesse saputo davvero come stavano le cose…!
«Fidatevi di me» mormorò, prendendomi il mento fra le mani. Fissò il mio viso illacrimato come si fissa un’opera d’arte piena d sentimento, e ripeté le parole appena dette.
Sospirai, giovane, inesperta, quando il suo naso sfiorò il mio. Era lento, procedeva piano. E mentre mia madre urlava di scostarmi e il suo volto mi fissava esterrefatto, stetti dolorosamente immobile. Il mio corpo tendeva verso Mr Cullen, i miei palmi aperti posati sul suo petto.
Si chinò, e le sue labbra sfiorarono le mie. Sentii modellare e plasmare le mie forme sotto le sue, ma un liberatorio piacere esplose in me mentre dolci si dischiudevano sui miei petali illibati.
E il mio amore cresceva, inconsapevole, nel mio petto.

lunedì 15 agosto 2011

keska "Diamante": Capitolo 5

Hola! Buona Lettura Ragazzi :)





















Cuore

La mia mente era fissa e ferma sull’immagine dei miei occhi: il vuoto.
Aspettavo di secondo in secondo che una qualche emozione mi scuotesse, che la bocca si riempisse di fiele o che si prosciugasse fino a ardere, oppure che le membra crollassero o s’irrigidissero tutte insieme.
Nessuno di questi eccessi.
Ero immobile, la mente vuota, il corpo inesistente.
Ciò che per una vita avevo preso a modello era diventato me, e l’equilibrio parte del mio corpo.
Quale momento migliore che quello prima di conoscere il volto del mio futuro marito?

Camminavo mollemente dietro la figura di Sir e Lady Swan, Justine e Albertine ai miei due lati. Mi stavano conducendo da quello che sarebbe stato il mio futuro marito, che avrei dovuto guardare come se fosse stata la prima volta e di cui ancora, finché la mia mano non fosse stata posata sulla sua, non mi era dato conoscere il nome.
Indossavo il vestito che, congetturai, mia madre doveva aver disegnato quando avevo pressappoco due o tre anni.
Era questo, il momento per cui ero cresciuta, vissuta. Era proprio questo lo scopo e il motivo della mia vita. L’avevo raggiunto.
In nostri passi ci condussero fino al portone di legno, scuro e laccato. Sir Swan cedette il passo alla moglie, sorreggendone la punta delle dita con la mano, e presto, non quanto fosse più del necessario, la seguì all’esterno.
Un passo ancora, e la luce m’investii.
M’imposi di non mettere a fuoco il paesaggio circostante, m’imposi di non guardare, e di continuare a non pensare.
Ma era troppo tardi.
Una soffocante angoscia, strisciante, si era impadronita del mio petto, dei miei polmoni e della mia gola, rendendomi difficile il respiro. Soffocandomi.
Avevo ubbidito, per diciassette anni della mia vita, alle regole di Renevuelle, le regole degli istruttori, le regole diMaman. Perché io ero una persona singolare. Perché dovevo essere il meglio, la perfezione, un diamante. Freddo e brillante, irraggiungibile e infrangibile. Perché il meglio doveva avere me.
Come poteva, allora, il resto del mondo essere diverso e contrario a quel meccanismo di perfezione in cui ero vissuta?
Velocemente la mia mente fu piena di immagini.
Mrs McCarty, che rideva, parlando di suo marito. Allegra, gioviale. Felice. Era forse sbagliata la sua felicità? Era forse intristita per non poter avere l’agiatezza del suo titolo nobiliare, quando in cambio aveva l’amore?
Il cuore. Il cuore.
Cosa ne sapeva Maman di come e quanto batteva il mio cuore?
Come potevo ignorare quel battito vivificatore?
La paura corse verso l’alto in ondate e flutti.
Volevo bene a Mr Newton. Era un marchese, e sapevo quanto questo contasse. Era ricco, e anche questo lo sapevo. E leggevo nel suo animo qualcosa di così simile a quello che sentivo nel mio, e, contrariamente a quello che avrei dovuto pensare, volevo abbracciarlo, e consolarlo. Perché non gli auguravo la mia sorte.
Ma il mio cuore, il mio cuore non cantava per lui.
«Le scale per il ponte alto, signorina» fece Albertine, indicandomi la direzione che stavano prendendo i miei genitori.
Justine mi sorrise appena, gentilmente. «I signori vi stanno aspettando».
Fu in quel momento, quando il piedino ornato si stava alzando sul primo gradino, che smisi realmente di pensare.
Avevo obbedito per diciassette anni. Adesso, era tempo di scappare.

Si era messo subito in moto, con una veloce e decisamente poco stancante corsa verso una direzione prevedibile. Mr Cullen se ne stava appoggiato alla balaustra del pontile, certo di dover solo aspettare, del tutto immune alla paura delle alte onde sotto di lui. Uno degli aspetti positivi della sua natura era la possibilità di farsi tranquillamente beffe di ciò che avrebbe ucciso un comune essere umano.
Era una stagione felice della sua vita quella, una di quelle che gli umani chiamano “primavere”. L’uomo ha l’esigenza di rincorrere ogni momento di felicità nella sua breve esistenza, lui, immortale, poteva tranquillamente aspettare che l’inverno passasse, comodo ad aspettare qualcosa che nuovamente avrebbe scatenato la sua curiosità.
Isabella Swan, in questo caso.
L’aveva studiata a lungo, sia da vicino che da lontano. Alla sua peculiare capacità di leggere i pensieri sfuggiva la sua mente, e questo mistero, aggiunto a quello che sentiva aleggiare intorno alla fanciulla, lo spaventava e attirava incredibilmente.
Aveva soddisfatto la sua curiosità nutrendosi dei pensieri delle persone che le stavano intorno.
Non sempre quello che aveva letto era stato piacevole. Chiuse il pugno in un moto di stizza. Quando avevano usato quei mezzi retrogradi per placare il suo animo, togliendole dalle vene e dal cuore quello che avidamente chiamava suo nettare…
Sospirò, allentando la presa.
Aveva visto come la fanciulla fosse cresciuta in un mondo a sé stante, e si era spiegato i motivi di innumerevoli suoi comportamenti, acquisendo nuovamente, tassello dopo tassello, quella sicurezza che i suoi occhi scuri avevano demolito.
Ma quando, inspiegabilmente, si era ritratta, tremante, dinanzi alle scuderie… Si era sentito paradossalmente indifeso e minacciato da quel viso pallido e da quegli occhi lucidi. Perché il suo comportamento? Per quale ragione?, aveva pensato velocemente.
Solo poi, ascoltando i pensieri di Lady e Sir Swan, ne aveva trovato il motivo.
Ma la sua curiosità si era placata? La sua attrazione assopita?
Scosse il capo, con un sorriso beffardo sul volto. Il pensiero di Isabella, probabilmente per il tempo trascorso dai suoi precedenti talami, gli appariva accecante e infinito rispetto alle mogli passate. E già, debolmente, si umettò le labbra al pensiero di avere per sé Isabella, di averla tutta sua, spiritualmente e corporalmente. Di conoscere e tentare, inutilmente, di intuire ogni sua reazione. Di sentire il suono della sua risata, avere a che fare con la sua timidezza e i suoi modi completamente ingenui, oppure anche stringere il suo corpo caldo fra le braccia, mentre la faceva sua, baciandola gentilmente.
Che fossero state le sue risate, i suoi modi, il suo corpo o i suoi occhi, Isabella l’aveva stregato, ed era ormai sua.
Sapeva che l’avrebbe continuato a stupire e l’aveva fatto ancora, ancora una volta.
Convincere Lady Swan non era stato un problema. Per sette giorni i suoi modi e il suo denaro l’avevano appagata e irretita.
Adesso Miss Isabella Swan sarebbe diventata sua sposa.

Non appena mossi un passo nella direzione opposta a quella consentitami, mi pentii di quello che avevo appena fatto.
Quando mi ero voltata, repentina, spaventata, Justine aveva sgranato gli occhi, sorpresa; Albertine, spaventata, aveva cacciato un urlo, avvinghiandosi al mio braccio. Allora non ci avevo pensato più di due secondi, perchè nella mia mente c’era solo una parola: fuga. L’avevo strattonata, lasciando che mi graffiasse il braccio dal polso al gomito. Avevo sollevato rapidamente le gonne e avevo corso, corso come non avevo mai fatto nella mia vita.
Ma adesso, mentre correvo, sentivo la pensante colpa pulsare nelle vene. Vedevo il viso di mia madre, deluso e profondamente turbato dal mio gesto. E ad ogni passo che compivo, ogni passo che posavo sul legno scuro del ponte, ogni passo con cui avanzavo fra la folla curiosa e infastidita, mi lasciavo dietro un terribile senso di vuoto, angoscia e paura.
Eppure non smettevo di fuggire, non potevo tornare indietro.
Tremante, da capo a piedi, come in preda di una febbre convulsa, calmai il ritmo dei miei passi, continuando ad arrancare in avanti. Ansante, sudata, scarmigliata, e piena di sgomento e pentimento.
Cosa avevo fatto? Cosa avevo fatto?, pensai, facendomi mancare il respiro. Non era mio compito prendere una scelta simile. Non era mio compito neppure pensarlo. Sentivo le forze abbandonarmi, e sapevo che non sarei riuscita a reggermi ancora per molto sulle gambe.
Mossi due passi traballanti e mi trovai bloccata fra una cabina e la prua della nave. Il fiato corto si bloccò completamente quando individuai la figura elegante che mi stava dinanzi.
«Miss Swan, vi siete persa?» chiese Mr Cullen con tono leggero, tranquillo. Le sopracciglia s’incresparono e piegò la testa da un lato, osservandomi. L’ombra di un sorriso non aveva mai abbandonato le sue labbra. «Sembrate turbata».
Ansimai, non smettendo di tremare, portandomi una mano ai capelli scomposti. Sentivo il corpo abbandonarmi.
L’espressione del gentiluomo si fece seria. Avanzò di un passo e mi afferrò provvidenzialmente per entrambe le braccia. «Forse stavate facendo una passeggiata? Forse non vi siete sentita bene e siete corsa qui a prendere un po’ d’aria?» chiese, come se mi volesse suggerire una risposta.
Una passeggiata… poco bene… sentii la testa girarmi e le sue braccia tenermi con più forza, mentre i suoi occhi mi squadravano e m’irretivano. Avevo appena commesso lo sbaglio più grande della mia vita, un errore imperdonabile, e l’angoscia che sentivo mi turbava tanto quanto la presenza dell’uomo che mi stava dinanzi.
Sussultai quando, rapidamente, la sua testa scattò verso il basso e i suoi occhi si concentrarono sul mio braccio. Lentamente, ancora turbata dal suo movimento, osservai lo stesso punto, dove tre linee rosse stillavano gocce di sangue.
Mi lasciò andare, facendo un passo indietro e fissandomi in viso, senza ombra di leggerezza. «Chi ve l’ha fatto?» chiese impassibile, gli occhi velati da un’ombra nera.
Sollevai la parte lesa, stringendola e nascondendola automaticamente con l’altra mano. «I-io… non è niente, sono caduta…» mormorai senza pensarci, abbassando il viso, difendendo istintivamente il gesto di Albertine.
Sentii lo schiocco secco della sua lingua. Sembrava quasi… arrabbiato. «Cos’è, un nuovo modo di dirlo? Sono graffi, graffi di unghie» asserì asciutto.
Automaticamente mi ricomposi, gelando. «Vi sbagliate, non sono graffi» ribattei col suo stesso tono terreo, indispettita dall’insinuazione velata nella sua voce. Le sue sopracciglia si alzarono appena, mentre assumeva un’espressione stupita.  «Sono caduta» proseguii, desiderosa di dissipare ogni sospetto «la mia parola contro la vostra».
Si ricompose, osservandomi in silenzio. «A quanto pare le avete anche voi, le unghie». Controllai il rossore sulle guance, lasciando cadere i pugni chiusi lungo il corpo. «Quindi qual è il motivo della vostra passeggiata, se posso permettermi di chiederlo?».
Tentai di rimanere impassibile, senza tremare. «Io… stavo andando… volevo solo fare quattro passi» mentii malamente, col cuore in gola.
Ancora una volta le sue labbra si aprirono in un sorriso. «Oh, capisco. Dovete prendere un po’ d’aria e camminare più lentamente, però. Sembrate piuttosto accaldata» mi tese la mano con un’espressione sorniona «venite qui, vi faccio vedere le meraviglie dei flutti e respirare l’aria pulita» m’invitò, con le dita bianche dell’altra mano strette sulla balaustra.
Lo osservai lentamente, turbata, perfettamente consapevole dei guai in cui ero e per nulla propensa a cercarne di nuovi. Scossi il capo con violenza. «Non posso» bisbigliai soffocata.
Dovevo porre rimedio al mio gesto sconsiderato, ma come fare? Mentire, dire realmente che tutto era stata frutto di un malore? Dire che ero stata mandata via a forza? Tornare immediatamente indietro, sui miei passi, e sperare di risanare lo strappo o aspettare tremante in attesa di essere ritrovata…?
Mr Cullen rise, spensierato. «Non potete, e perché mai?».
«É successo… una cosa così grave…» quasi singhiozzai, fremendo.
Sorrise rassicurante. «Sono certo che non sia così grave».
Presi un breve respiro, scuotendo il capo con più calma. «Non avete idea dei guai in cui mi sono cacciata…» sussurrai con voce strozzata, mentre qualcosa nei suoi occhi vispi mi faceva assurdamente pensare che ce l’aveva, eccome, l’idea.
Deciso, mosse un passo verso di me, afferrando con decisione l’avambraccio sano e stringendo con l’altra mano il fianco. Poi mosse un piede fra le mie gambe, facendomi perdere l’equilibrio fra le sue braccia.
«Ma’am, l’ho ritrovata!» esclamò affrettata la voce del maggiordomo Thomas due secondi più tardi.
Mr Cullen si piegò su di me, sussurrando piano «State giù».
Tremai, non riuscendo in ogni caso a muovermi. Il pensiero che mia madre mi trovasse nelle braccia di uno sconosciuto, appena scappata dal mio promesso sposo, mi rendeva debole e pallida.
Sentii la presenza di Thomas accanto a me, e immediatamente seguii quella più grave di Maman. Alle sue spalle mio padre e… i Mr e Mrs Cullen? Annaspai, osservando gli occhi severi e l’espressione turbata e irosa di Lady Swan. Non riuscii quasi a prendere un respiro, e sentii le braccia di Mr Cullen stringersi con più forza intorno a me.
«Isabella» disse solo mia madre.
Rispose Mr Cullen e rispose con voce ferma. «Mi rincresce, Lady Swan. Sua figlia Isabella non si è sentita troppo bene» asserì asciutto, imponendo quella verità contro l’evidenza delle cose «per fortuna l’imperdonabile ritardatario quale sono l’ha trovata, senza lasciarla sola. Ci siamo incontrati comunque, ed è questo l’importante, non trovate?» fece persuasivo.
A quelle parole il mio corpo fu attraversato dallo sgomento. Mr e Mrs Cullen… un incontro con Mr E Cullen… Strinsi le dita contro la manica della sua camicia, battendo le palpebre.
Lady Swan ci fissava crucciata, la gonna stretta in un pugno, facendo passare lo sguardo da me a lui, fermandosi su di me con espressione severa. Non me la sarei mai cavata. La mia fuga era evidente, lampante, e mia madre non era tanto stupida da credere alle parole che gli imponeva Mr Cullen.
«Certo cari, non è importante. É bene che la contessina si senta meglio» sussurrò la vocina gentile della bella donna accanto al dottor Cullen.
«Certo» ribadì Mr Cullen, continuando a fissare Maman in una battaglia di sguardi.
Lei sospirò, lanciando cadere le gonne e posando le mani l’una sull’altra. «Isabella, hai appena conosciuto il tuo futuro marito, Mr Cullen» asserì, traboccante di stizza, finendo in un respiro secco.
Completamente spiazzata volsi il capo verso Mr Cullen, annaspando. Voi?, avrei voluto urlare. E il sorriso sulle sue labbra mi rispondeva Si, Miss Swan, proprio io. Sentii le sue braccia stringermi, e capii di stargli scivolando fra le mani, mentre il suo sorriso si allargava sempre più come una falce di luna davanti ai miei occhi.
Mr e Mrs Cullen si avvicinarono, come pure i miei genitori.
Le dita fresche del dottor Cullen si posarono sulla tempia in una carezza gentile. I suoi occhi corsero verso quelli del figlio. «Non dovrebbe essere nulla di grave…».
«Sicuramente» disse mia madre, non certo incline ad essere maggiormente condiscendente, «Mi dispiace che la conoscenza non sia stata delle migliori, ma a breve avremmo un’altra occasione» disse con garbatezza, solo per udire le rimostranze di Mrs Cullen. «Thomas, prendi Miss Swan e portala nelle sue stanze. Anne saprà cosa fare».
Tremai, stringendo le labbra.
Mr Cullen e il figlio si scambiarono un’occhiata prima di parlare. «Sono certo di potermene occupare, in ogni momento, senza problema».
«No» ribatté con fermezza ma senza scortesia Maman. Si aprì in un sorriso docile «non è necessario che v’incomodiate. Isabella non è cagionevole, è solo delicata, e la navigazione deve farle male ai nervi» spiegò a mo’ di giustificazione, con gentilezza e chiarezza. «Thomas» richiamò, non ammettendo altre repliche, inchinandosi alla famiglia Cullen, voltandosi, e facendo per andarsene.
Mr Cullen mi strinse un attimo a sé, facendomi battere il cuore, e velocemente, mentre mi passava alle mani del maggiordomo, mi sfiorò la tempia con le labbra. «Abbiate cura di voi» mormorò, lasciandomi con un’occhiata triste e al contempo irritata.
Mi sarei potuta ribellare, sollevare e asserire di stare perfettamente, tornando alle mie stanze sulle mie gambe. Ma in quel caso gli sforzi di Mr Cullen sarebbero stati peggiori, e la punizione che mi attendeva persino peggiore. Fra le braccia di Thomas, deboli e troppo calde in confronto a quelle del giovane gentiluomo, accettai pian piano ciò che mi attendeva, la prossima visita di Anne offuscata, nel petto, da qualcosa che sembrava felicità.

«Oh, signorina» borbottò ancora Justine, pettinandomi i capelli. Ero semi-distesa su una lettiga, avvolta da una spessa coperta bianca. «Oh signorina» continuò a ripetere, con quel tono a metà fra l’afflitto e il biasimo.
Sorrisi debolmente, pur non riuscendo a sollevare il corpo dallo schienale.
«Fuggire, in quel modo» mormorò crucciata, seguitando a spazzolare, «oh, accidenti! Oh! Cosa vi è preso? Pensavate forse che vostra madre non se ne sarebbe accorta? Oh, Cielo! Oh! Buon Signore!» seguitò, con un continuo di molti altri ‘Oh’.
Fece il giro della poltrona, sedendosi accanto a me e prendendomi le mani fra le sue. «Dovete ringraziare Mr Cullen, il maggiordomo Thomas me l’ha detto, che non si è affatto adirato con voi. A quanto pare la versione ufficiale è che vi siete sentita poco bene, e in tale modo Lady Swan vi ha punita! Guardatevi, non avete neppure la forza per rispondere… no, no, non sforzatevi».
Sospirai, debole, chiudendo gli occhi. Davanti a me l’immagine di Mr Cullen. Mi chiedevo se averlo incontrato fosse stata una dolcissima coincidenza, oppure… oppure, come avrebbe potuto sapere che stava fuggendo dall’incontro, e come anticipare di tanto i miei passi? E perché, poi, soprattutto, mentire in quel modo con Lady Swan per aiutarmi, senza alcuna traccia d’ira nei miei confronti?
«Miss Swan, miss Swan, mi sentite?» farfugliò agitata Justine, distogliendomi dai miei pensieri.
Aprii gli occhi e sospirai. «Si, Justine, vi sento» risposi appena, sospirando ancora per la stanchezza che mi attanagliava le viscere. «Fatele un salasso per calmarle la pressione, mia figlia pare posseduta dai bollenti spiriti, sono estremamente preoccupata» erano state le parole di Lady Swan. Sapevo di aver meritato quello che era venuto, e l’avevo accettato in silenzio, senza protestare. Ma non riuscivo ad essere pentita, non quando il viso sorridente di Mr Cullen non appariva affatto arrabbiato con me. E se le conseguenze del mio gesto sconsiderato erano solo quelle…
«Dov’è vostra sorella?».
Justine ebbe un fremito, ma cercò di contenersi. «Albertine si è assunta la responsabilità delle sue azioni». Alle mia occhiata sorpresa e preoccupata seguitò «vostra madre… ha ritenuto necessario punirla» sussurrò afflitta.
«Cosa? Come?» chiesi agitata.
Justine si alzò, raccogliendo le sue cose e dileguandosi in fretta. «Non è colpa vostra. Mi dispiace» sussurrò in tono di scusa prima di scomparire.
Non mi era consentito muovermi, ma non appena Maman si ritrovò nelle mie stanze, subito dopo l’inchino, sicuramente prima di consentirle di parlare, le chiesi angustiata «Maman, dov’è Albertine?».
Mia madre prese un profondo respiro. Vibrava di rabbia traboccante e mal trattenuta, poco celata negli occhi cerulei.
Mi sentii piccola e insignificante, e profondamente addolorata per averla delusa in quel modo.
Non rispose subito, ribadendo il fatto di non essere affatto obbligata a farlo. «Ti sei calmata, Isabella? Sono sicura che stamane fosse tutta una questione di pressione, davvero. Dovete stare molto meglio» mi ammonì velatamente. Vedendomi silenziosa e ammutolita, proseguì con noncuranza, «la cameriera, Albertine, ha ricevuto tre frustate per avervi inflitto tre graffi sul braccio. Non posso permettere che il vostro futuro marito vi riceva in questo stato dopo aver fatto tanto per preservarvi».
Abbassai il capo, mordendomi forte il labbro per non parlare. «Albertine voleva solo trattenermi! Trattenermi per non fuggire! Trattenermi per portarmi dove voi mi volevate condurre!» soffocai le parole in gola, dietro un grosso strato di disperazione e pentimento, e stetti in silenzio.
«Così, Isabella» cominciò Lady Swan incedendo verso in letto in cui ero sepolta «spero che non vi sentiate più tanto male. La prossima volta Mr Cullen esigerà conoscere con un certo decoro la sua futura sposa» fece, inchiodandomi con lo sguardo e facendomi corrodere per il senso di colpa.
«Si, maman».
«Bene» disse, compiaciuta, «Mr Cullen è un uomo eccezionale. Mi raccomando di essere, sempre, impeccabile nei suoi confronti».
Sbiancai, ricordando i momenti in cui eravamo stati vicini, di cui Maman era all’oscuro. «Io… si, Maman… lui… è un perfetto gentiluomo» dissi velocemente.
«Si» concesse, guardandomi perplessa per il parere appena espresso, decisamente lontana, ancora, dal perdonarmi. Poi aggiunse, «Chi credevate che vi avrei messo affianco, Mr Newton?» fece con ironia.
Arrossii, morendomi il labbro e abbassando il capo.
«Oh, Isabella!» esclamò, lasciandosi andare ad una breve ed asciutta risata, priva di eccessi, «credevate forse che avrei potuto dare il mio diamante a un pacioccone stupidotto e minorato?» ridacchiò, questa volta con un tono molto più basso, «Mr Cullen sì, che ne può comprare, di diamanti».
Mi strinsi nella coperta, afflitta e disorientata per la concretezza si mia madre. «Si, Maman».
«Mi raccomando» disse, facendo per andarsene. Poi si voltò, abbassando il tono di una nota estremamente seria «oh, gradirei anche che cessaste la vostra conoscenza con Mrs McCarty, non mi sembra una compagnia raccomandabile».
Sgranai gli occhi, completamente stupita. «Ma, madre… Mrs McCarty è così…».
I suoi occhi fiammeggiarono, mozzandomi le parole in gola. Potevo capire come di tanto in tanto doveva sentirsi mio padre. «Ho detto che Mrs McCarty non è una compagnia raccomandabile» ribadì, con un tono talmente duro da farmi tremare.
«Si… Maman» sussurrai, la gola stretta da un magone. Non appena lasciò la mia stanza scoppiai in amare lacrime, piegando la testa sul cuscino per nasconderle.
Afflitta per non poter più vedere Mrs McCarty.
Angosciata per la delusione e la rabbia che avevo generato in mia madre.
Versai lacrime fino a non averne più negli occhi.
E intanto pensavo a quello che ne era del mio destino. Ero fuggita a Mr Cullen, ma lui aveva ritrovato me.
E adesso?
Volevo ancora fuggire?