Verità
«Si Mr Cullen, credo che sia davvero importante avere una certa conoscenza economica prima di investire in un’impresa» risposi piano, le parole misurate e il ritmo cadenzato.
«Voi lo credete davvero? Non pensate forse che sarebbe meglio formare le vostre conoscenze sul campo?» mi stuzzicò Mr Cullen, un’espressione mista di divertimento e disappunto.
Sospirai. «Quello che credete opportuno», concessi, facendo crescere ancora la sua contrarietà. Era andata avanti così per tutta la mattina. Parlavamo, io conducevo il discorso proprio come mia madre voleva che fosse, Mr Cullen mi stuzzicava, e io soffocavo la mia disinvoltura e spontaneità per non contraddirlo, in nessun caso.
Stavo cercando in ogni modo di recuperare la fiducia persa nei confronti di Lady Swan. «Devi fare tutto quello che ti dice Mr Cullen, non contraddirlo mai. Tutto» mi aveva intimato, «non voglio neppure un errore da parte tua, Isabella» aveva detto, fissandomi con occhi fiammeggianti.
«Si, Mr Cullen, la penso proprio come voi» avevo sussurrato per l’ennesima volta, tentando di nascondere la mia aria stanca.
Mr Cullen, che sembrava palesemente spazientito, si tirò a sedere, facendomi sgranare gli occhi.
Mia madre annaspò, congelando i suoi occhi severi su di me. La mortificazione pulsò veloce fra le mie membra. Deglutii, fissando il mio promesso sposo con timore. «Io… Mr Cullen, va tutto bene?» chiesi costernata, tentando di impedire che gli occhi mi si riempissero di lacrime.
Mrs Cullen stemperò l’atmosfera, mettendo giù la tazza del tè da cui non aveva preso nemmeno un sorso. «Edward, tesoro, non essere così suscettibile sulle questioni economiche» risuonò dolcemente, guardandolo piano, «perché piuttosto non fai una passeggiata con la nostra contessina? Oh, Lady Swan, mio figlio è davvero incantato da miss Swan…».
Mr Cullen si voltò a fissare rigidamente il mio volto afflitto. Sospirò e mi tese la mano. «Venite, Miss Swan».
Pure mentre stava affabilmente conducendo una conversazione con Mrs Cullen, Maman si voltò nella mia direzione, squadrandomi attentamente.
Mi affrettai ad afferrare la mano di Mr Cullen, seguendolo ovunque volesse condurmi.
Nella mia mente dominava una certa confusione. Da una parte ero stranamente lieta di andare in contro alla scelta di mia madre, e mi chiedevo quanto avesse inteso delle mie reazioni accanto al gentiluomo e quanto fossero pesate. Dall’altra non sapevo dare un nome al mio batticuore, faticando a dar ragione alle parole di Mrs McCarty dopo quanto detto da Maman.
Mi aveva mentito su tutto? Non era stata una buona amica?
Era vero, per il pensiero della sua contentezza accanto a Mr McCarty avevo vilmente commesso l’errore più grande della mia vita. Ma se al posto di Mr Cullen mia madre avesse davvero scelto Mr Newton ne sarei stata così pentita?
Camminammo in silenzio per il ponte della nave. Sentivo la sua presenza forte accanto a me, e il cuore mi batteva, oh, se mi batteva. Ma in quel momento l’aura che irradiava non pareva affatto positiva. Mr Cullen appariva stanco, provato, perfino stizzito.
«Il viaggio durerà ancora un po’, non è così, Mr Cullen?» azzardai a chiedere, le buone maniere che m’imponevano di aprir bocca.
Sospirò, scrollando le spalle come per trattenersi. «Si, Miss Swan» mormorò distrattamente, osservando l’orizzonte coperto da una nebbia opaca, «la nave attracca spesso ai vari porti, dopotutto è una crociera, e lo scopo di una crociera è sostare lungo le rive che si costeggiano, nonostante voi non abbiate mai messo piede fuori dalla nave» disse con voce incolore, continuando a guardare nel lontano vuoto.
Strinsi più forte il braccio contro il suo, a disagio per le sue parole.
Si voltò, e sul suo viso spuntò un lieve sorriso. «Vi piacerebbe? Oggi attraccheremo ancora nel Portogallo».
Morsi un labbro, fissandolo negli occhi cupi. «Maman non gradisce che lo faccia».
Il suo sorriso si ampliò. «Se è solo per questo, lasciate che le parli io».
Sospirai ansiosamente, fissandolo crucciata. «No, davvero Mr Cullen, non è necessario» mormorai agitata, preoccupata di andare ancora, in qualsiasi modo, contro mia madre.
Mi parve, se possibile, che i suoi occhi si scurissero maggiormente. «Non lo volete voi o non lo vuole vostra madre?Perché di certo non siamo parlando di ciò che è necessario e ciò che non lo è».
Ansimai, sgranando gli occhi. Una fitta nel petto era dolorosamente familiare, quella che sorgeva dalla delusione che sapevo avrei causato a Maman. Ma l’altra… L’altra era così angosciante e sconosciuta per essere nata dall’amarezza negli occhi di Mr Cullen. «Mi rincresce…» farfugliai sconvolta.
I suoi occhi scuri fuggirono dai miei, e con un respiro rilassò le membra. «Torniamo dalle nostre famiglie» affermòpacato.
Quando mi riconsegnò a mia madre aveva modi fluidi e cordiali, per nulla simili a quelli rivolti nei miei confronti. Eppure… nutrivo un certo peso allo stomaco, che mi faceva pensare che quella attuale non fosse altro che finzione e controllo.
Mia madre fu soddisfatta dagli incontri che avevo col mio futuro marito, anche se avrebbe voluto in ogni modo che la felicità che gli causavo fosse maggiore e più convincente. Pareva esausta dagli ultimi giorni, dai dibattiti pacati e cordiali che nascondevano alte doti diplomatiche di una donna che avrebbe potuto condurre i trattati di pace in Inghilterra.
Nonostante Maman fosse incline a soddisfare in ogni modo Mr Cullen aveva rigide regole su cui difficilmente soprassedeva. Farmi uscire ad orari stabiliti, accompagnata da loro. Non farmi scendere dalla nave. Controllarmi, spesso e volentieri, a vista.
«Avete la pelle così morbida, Miss» sussurrò Justine, accarezzandomi con le mani mentre mi faceva il bagno.
Albertine entrò nella mie stanze, con in mano un sacchettino bianco. «Mr Cullen vi ha fatto recapitare un sacchetto di sali da bagno Portoghesi». Ultimamente tendeva ad essere più silenziosa con me.
«Un gesto davvero premuroso» commentò Justine, massaggiandomi.
Annuii, contenta di quel presente. «Si» sussurrai debolmente.
Rimasi a pensare per lungo tempo, mentre Albertine mi pettinava i capelli umidi e Justine preparava a biancheria, a quanto mi avesse detto Mrs McCarty delle mie dame. Che erano troppo presenti, che avrei potuto sostituirmi a loro in mille piccole cose… Da un lato mi sarebbe piaciuto essere una donna forte e indipendente come lei, ma dall’altro non avrei mai potuto mancare della protezione che sentivo provenire dalle mia dame.
Sospirai. Ormai, il pensiero di Mrs McCarty non doveva più interessarmi, che lo volessi o meno. Maman aveva contrattato con la famiglia Cullen che avessi tutto e non meno di quanto non avevo già, e Mr E C era stato disposto ad accettare ogni condizione di buon grado. Le mie dame sarebbero venute con me. Magari, una di loro avrebbe potuto crescere i nostri figli…
«Miss» sussurrò Justine, chinandosi a guardarmi con un’aria carica di pena e afflizione, «mi dispiace, vorrei tanto essere la vostra messaggera segreta. E se fosse un altro biglietto di Mr Cullen, ormai vostro fidanzato, ve l’avrei recapitato di certo…».
M’irrigidii, colta impreparata dalle sue parole. Il cuore cominciò naturalmente a battermi più forte nel petto. Un biglietto di Mr Cullen? Le sue parole gentili?
Sollevò i suoi occhi timorosi su di me. «Ho avuto rigide istruzioni, perdonatemi. Non posso farvi avere il biglietto di Mrs McCarty…».
«Mrs McCarty mi ha mandato un biglietto?» chiesi sorpresa.
Sospirò, avvicinandosi maggiormente alla mia poltrona. «Si. Più di uno, in realtà. Dice che le mancate, e che vorrebbe vedervi» mi spiegò piano, salvo poi affrettarsi ad alzarsi all’entrata nella stanza di Juliette.
Meditai con aria afflitta sulla lontananza da Mrs McCarty. Maman diceva che era troppo libertina, che aveva idee rivoluzionarie, che era troppo francese. Lontanissima dalle rette d’educazione che mi erano state impartite e dovevo seguire.
Eppure non potevo fare a meno di pensare a quanto fosse elegante, colta, intelligente e acuta, piena di vita, e soprattutto felice, come mai nessun’altra persona da me conosciuta.
A chi dare fiducia? A chi dare ragione? A Mrs McCarty o a Maman?
Non potevo immaginare che mia madre si fosse sbagliata di tanto.
La pelle profumata, i capelli soffici, le guance rosee per la differenza di temperatura fra il tepore dell’acqua e l’ambiente circostante, camminai, avanzando mollemente sui piedi, lungo il corridoio dei nostri appartamenti. Non erano previsti ulteriori incontri con Mr Cullen per la giornata, così, per quanto l’idea mi rendesse malinconica, avevo deciso di attingere alla riserva di libri della biblioteca, selezionati da mia madre per me.
«Non è felice ti dico. Isabella non è felice. Avrei voluto che avesse una seppur minima voce in capitolo sulla scelta di suo marito!».
«Sono più che certa che Mr Cullen sia quello perfetto».
M’irrigidii, sentendo provenire dalla stanza le voci dei miei genitori.
Un sospiro sconfortato e rumoroso. «Ma a lei? Piace a lei?».
«Le andrà a genio» ribatté piccata mia madre.
Attenta a che il suono del mio cuore palpitante non fosse troppo udibile, mi avvicinai lentamente allo stipite dell’uscio. I miei occhi si posarono sullo spiraglio di luce che proveniva dalla stanza. Maman era rigidamente seduta sulla poltrona accanto al fuoco, e Sir Swan misurava la stanza a passi veloci.
«Non è felice ti dico…» borbottò, continuando a muoversi.
«E io Charlie? Io sono felice, secondo te?!» scattò in piedi Lady Swan, con lo strillo più acuto che avessi mai sentito provenire dalle sue labbra. «Sei tu la causa di tutto il suo male, ricordalo! Tutto questo è a causa tua!».
Mio padre impallidì, tacendo. Sentivo un dolore esplodere in ogni mia parte mentre mia madre gli si avvicinava, furibonda.
«Per quattordici, quattordici anni l’ho cresciuta, allevata, fatta diventare ciò che è. L’ho resa perfetta, perfetta. Ho sacrificato ogni attimo per creare quello che è. Perché qualcuno se la prendesse anche così» sputò con amarezza.
Ansimai, sentendo le pupille dilatarsi. Mio padre si lasciò cadere sulla poltrona, stanco, desolato, portando le mani a coprirsi il volto. Il peso della colpa sulle spalle curve.
«Quando me l’hanno portata, quel giorno… quando mi hanno portato la mia bambina insanguinata» tremò, e io con lei, «a cavallo, Charlie! Come dannazione ti è venuto in mente di portare una creatura di tre anni a cavallo?!» sibilò rancorosa, faticando a tenere bassa la voce. Strinse i pugni sulla gonna, ansimando. «E il fatto che sia felice dev’essere davvero l’ultima cosa di cui ti devi preoccupare. Ringraziami, se l’ho resa quello che è. Se finalmente ho trovato un uomo del genere che sia disposto a tenersi un ciocco sterile per tutta la vita».
Tremai. Tremai, sentendomi scuotere violentemente, sentendo lo stomaco rivoltarsi e diffondere il suo acido nel mio corpo.
Scappai, correndo. Senza remore questa volta, solo con l’angoscia incalzante della verità a seguirmi. Aprii velocemente la porta degli appartamenti, continuando a correre. Ma per ogni passo che facevo il dolore e il terrore mi seguivano, più veloci, più pesanti, più presenti.
Ero preda di uno spasmo convulso. Due verità atroci, una più sconvolgente dell’altra, mi seguivano. La lapidarietà del fatto che il mio corpo fosse incapace di generare altra vita. E, ancor peggio, il fatto che per quattordici anni della mia esistenza, i miei genitori, le uniche persone di cui mi fidavo e che pedissequamente seguivo, mi avevano mentito a tal punto da negarmi una verità fondante del mio essere.
Il mio respiro era così veloce e irregolare che accentuava lo sciame d’api che sentivo in testa. Dolorosamente pungente.
Gli occhi di Miss Mallory e Stanley si sgranarono leggermente quando gli passai accanto.
Mi arrestai, fremendo, quando mi resi conto di aver imboccato un vicolo cieco. Scivolai con le spalle al muro, apparentemente senza forze.
«Vi siete persa, Miss? Tutta soletta?».
Ansimai, sentendo salire sulle labbra un terribile singhiozzo asciutto. Facendo leva sulla parete mi sollevai ancora, continuando a correre. Qualcosa di orribile stava impazzendo in me. Qualcosa che mi sussurrava che magari il mare là fuori me ne avrebbe liberata.
Maman… Maman… perché l’avete fatto? Cosa?
Stordita mi scontrai violentemente contro un corpo perfetto. «Miss Swan, cosa c’è? Cercate ancora di scappare dal vostro futuro marito?» scherzò Mr Cullen, bloccandomi per le braccia.
Sollevai lo sguardo per fissarlo con occhi spiritati. Lasciatemi andare, lasciatemi andare Mr Cullen… avrei voluto urlare. Ma non c’era nessun modo per cui una sola parola potesse uscire dalla mia bocca in quel momento. La testa turbinava alla stessa velocità con cui la vista mi si offuscava.
Le sue sopracciglia perfette si piegarono in una linea. «Miss Swan? Che succede?» chiese perplesso, continuando a fissare con insistenza il mio volto. «Vi devo riaccompagnare a casa?».
Ansimai, strattonandolo con più forza. «No» tentai di dire, ma quando aprii la bocca non uscì che un sibilo. Nonpotevo, non poteva essere. Stavo sicuramente immaginando tutto, perché il corpo non rispondeva neppure ai miei comandi.
«É successo qualcosa lì?» chiese con maggiore fervore.
Neppure la vicinanza serviva a darmi conforto, ma solo ad accentuare la schiacciante angoscia che sentivocomprimermi.
«Oh, accidenti a voi donne e i vostri corsetti» farfugliò, correndo con una mano dietro la mia schiena, «Guardatemi, Miss. Respirate, ora» ordinò, mentre sentivo i polmoni decomprimersi e la vista annebbiarsi definitivamente.
«Sta bene, sta riposando» spiegò Mrs McCarty, sedendosi goffamente su una poltrona. «Me l’avete portata in uno stato pietoso. Cos’è successo?».
Edward Cullen vagò con lo sguardo dorato nel salottino della donna prima di rispondere. Quel giorno si era finalmente nutrito del sangue animale che gli consentiva di mantenere il suo temperamento mite. «Ne ho una vaga idea» rispose pacato. Un’idea più che vaga, a dire la verità. Sapeva che prima o poi Isabella sarebbe venuta a conoscenza del segreto dei suoi genitori.
«Una vaga idea?» chiese turbata Mrs McCarty. La donna aveva una buona stima di lui, eppure non si sentiva completamente a suo agio. Glielo leggeva nei pensieri.
Annuì con lentezza, non propenso a specificare ancora i problemi della sua futura consorte. Di certo a lui non importava che Miss Swan fosse sterile, anzi. Incapace di generare figli che non uccidessero la madre durante la gravidanza, l’assenza del pericolo che si ingravidasse era di certo un vantaggio per lui. «Credo sianodiscrepanze con la famiglia».
La donna fremette, stringendo i pugni. Manifestava una chiara ostilità per la sua famiglia, che in larga parte sentiva di condividere. Sospirò, tremante, prima di cominciare il suo accalorato discorso. «Voi siete un uomo potente, Mr Cullen, e io sono più che lieta che siate il futuro marito della contessina. E proprio per questo dovete fare qualcosa per lei. Portatela sotto la vostra ala, estendete la vostra influenza e allontanatela per sempre da Lady Swan. Perché quella donna, un giorno o l’altro, le farà del male».
Mr Cullen sorrise debolmente. Reputava di avere una conoscenza umana superiore alla media, data la sua peculiarità di leggere nel pensiero. Lady Swan era rigida, ferrea, ma da qualche parte e in maniera strana, come d’altronde ogni essere umano, nutriva un qualche affetto per la figlia. «Cara Mrs McCarty» cominciò affabile «sono d’accordo con voi nell’ostilità che nutrite nei confronti della sua famiglia, che la educa con severità e metodi barbari, sopprimendone completamente l’“io” spontaneo. Ma vedrete che la contessina starà bene senza ricorrere a metodi eccessivi».
«Mr Cullen» ribatté rapidamente la gentildonna, «non bastano i vostri metodi, per quanto nobili. Dove portarla con voi, strapparla a quelle mani, e impedire anche solo che la vedano».
Mr Cullen ritenne il suo spirito frutto del fatto che non conoscesse la vera questione che aveva reso Miss Swan così sconvolta. La creatura aveva bisogno solo di un po’ d’amore e dolcezza, per quello l’aveva condotta da Mrs McCarty, e di qualcuno che le facesse guardare dentro di sé. L’idea di farla crescere sotto la sua ala, si scatenarle un tiepido sorriso o un accenno di stupore lo rendeva euforico e estatico. «Non ho intenzione di sollevare uno scandalo sociale sottraendola alla sua famiglia prima del tempo. Al contempo, ho intenzione di educare la piccola al sapore della piacevole libertà» mormorò, pensando all’insensato e irrefrenabile risentimento che gli causava vederla completamente assoggettata alla madre e pronta ad assecondarne il volere, «imparerà da sola a mordere il freno, è questo che deve fare».
Mrs McCarty scosse il capo, condividendo solo in parte le sue parole e contrariata per il metodo scelto dall’uomo per migliorare le condizioni della sua protetta. «Spero solo che non la vedrete strozzarsi mentre lo sta mordendo».
Distolse lo sguardo, sicuro di sé. C’era stato solo un attimo, poco prima di strappare i lacci del corsetto di Miss Swan, in cui l’aveva vista annaspare senza aria e fissarlo con occhi morenti. Solo in quell’attimo aveva sentito una perturbazione che da tempo non lo sfiorava neppure. Solo in quel momento l’arrendevole consapevolezza della fragilità della specie umana era completamente svanita, e il suo tranquillo controllo sfatto.
Non si era accorto di aver trattenuto il fiato finché anche Miss Swan non aveva ripreso a respirare.
«Isabella! Isabella, tesoro, ti piace il vento?». «Si, papà». «Guarda come corre veloce piccola!». Le braccia la stringevano contro il suo petto, e la giumenta sotto di loro si affannava nella vasta tenuta. «Più veloce, piùveloce!». «Al galoppo!».
Mossi il capo da entrambe le parti, sentendomi sudata e stanca.
«Attenta, non ti sporgere!». «Un serpente, papà!». Un nitrito, e tanto buio.
Aprii lentamente gli occhi, disorientata. Sentivo le guance seccate di lacrime. Mi misi a sedere, una mano alla testa. L’angoscia che avevo sentito si era trasformata in una viscerale tristezza.
«Miss Swan». Alla voce di Mrs McCarty era seguita la sua linea curva. Distolsi lo sguardo, sentendomi strozzare. Non avevo mai pensato davvero a diventare madre. Piuttosto l’avevo dato per scontato. «Vi siete svegliata» continuò piano.
Mi sollevai, mettendo i piedi fuori dal letto. Mi accorsi di indossare una vestaglia bianca e pulita. «Dove mi trovo?» chiesi smarrita.
Mrs McCarty si avvicinò fino a sedersi accanto a me sul letto. I suoi occhi erano pieni di compassione. «Mr Cullen vi ha portata qui dopo che avete perso i sensi. Non avevate più respiro, così ha tagliato i lacci del corsetto. Ve l’ho sistemato…» continuò, fissandomi incessantemente.
Annuii piano, sospirando appena. Non avrei dovuto essere in compagnia di Mrs McCarty, e forse qualche ora prima non l’avrei permesso, seguendo le parole di mia madre. Ma ora ero come una navicella alla deriva in un mare infinito, e bisognavo di un appiglio.
La sua espressione s’intenerì, e tese le braccia per stringermi a sé. Mi abbracciò, baciandomi il capo e massaggiandomi piano la schiena, facendomi sentire protetta e amata. Lasciai che altre lacrime mi scaldassero il volto e scendessero giù senza una meta precisa.
Mi chiese informazioni attente sulla causa di tutto, e quando non risposi non insistette a chiederle. Mi aiutò a ricomporre i capelli e risistemare il vestito, confortandomi con piccoli gesti.
Quando mi portò fuori dalla stanza in cui mi aveva sistemata ad attendermi c’era Mr Cullen. Mi fissava con espressione tenera, offrendomi semplice conforto.
«Vado di là a prepararvi qualcosa per farvi riprendere colore, Miss. Torno fra poco» si congedò velocemente Mrs McCarty, lasciandoci soli.
Un demone mi morse le viscere. Mr Cullen sapeva? Oh, no, no che non sapeva. Se solo avesse saputo non mi avrebbe presa con sé. Un’inutile, sciocca, vuota ragazzina. Che se ne faceva di una moglie che non poteva dargli nessun erede?
Un gemito spontaneo nacque dalle mie labbra. Non sarei mai riuscita a dirglielo, perché, in quel momento, il mio essere egoista cercava solo di non perdere quel poco che gli rimaneva.
Avanzò nella mia direzione. Accarezzandomi una guancia e scatenando mille brividi, scendendo col viso a baciarmi la fronte. Mi sentivo prossima a scoppiare in lacrime al pensiero di poter perdere tutto quell’amore.
Bevvi il tè corretto di Mrs McCarty, un toccasana diceva, per scaldarmi il corpo. Mr Cullen mi fissava silenzioso, seduto su un divanetto. Quando finii la bevanda si alzò dal posto, offrendosi di riaccompagnarmi dove avessi voluto. A casa. Si, a casa, se casa fosse stata ancora Renevuelle, dove non conoscevo nessun altro mondo che prevedesse il dolore che stavo provando.
Prima di ricondurmi ai miei appartamenti insistette per passare per il ponte della nave, per lasciare che mi riprendessi completamente. Il vento soffiò fra di noi. Non avevo intenzione di scappare ancora. Sarei tornata ai miei appartamenti, e sarei stata in silenzio. Mi sentivo svuotata, persa. Avrei voluto una spiegazione, ma ero terrorizzata all’idea di chiederla.
Potevo davvero perdere tutto?
Sentivo come se una parte del mio stesso essere se ne stesse andando per sempre. Non potevo permetterlo. Sarei tornata. Avrei continuato a fare finta che tutto fosse come prima. Anche se il mondo mi si sgretolava ad ogni passo. Avrei continuato ad essere come ero, e la mia vita sarebbe ricominciata con l’uomo che mi stava dirimpetto, sostenendomi per i gomiti. Sperando che si accontentasse del guscio vuoto che ero.
Singhiozzai, lasciandomi cadere sul petto ampio di Mr Cullen. Le buone maniere stavano naufragando insieme alla fiducia in mia madre.
Mi accarezzò i capelli scompigliati, tenuti insieme solo da alcuni nastrini di raso. «Va tutto bene, Miss Swan. Ve loassicuro, va tutto bene» mormorò in un dolce tono consolatorio, quasi persuasivo.
Ma se invece avesse saputo davvero come stavano le cose…!
«Fidatevi di me» mormorò, prendendomi il mento fra le mani. Fissò il mio viso illacrimato come si fissa un’opera d’arte piena d sentimento, e ripeté le parole appena dette.
Sospirai, giovane, inesperta, quando il suo naso sfiorò il mio. Era lento, procedeva piano. E mentre mia madre urlava di scostarmi e il suo volto mi fissava esterrefatto, stetti dolorosamente immobile. Il mio corpo tendeva verso Mr Cullen, i miei palmi aperti posati sul suo petto.
Si chinò, e le sue labbra sfiorarono le mie. Sentii modellare e plasmare le mie forme sotto le sue, ma un liberatorio piacere esplose in me mentre dolci si dischiudevano sui miei petali illibati.
E il mio amore cresceva, inconsapevole, nel mio petto.